SPIRAGLI DI BUIO
Universo
di Crypt Marauders Cronicles
2. L’INFERNO NON HA MAPPE
Grauser lo introdusse
in un angusto passaggio secretato da un pannello di palissandro, sul
retro della taverna. Un corridoio rischiarato da lumi a olio sprofondava in uno
spazioso salone sotterraneo, dove il Veltro sgranò gli occhi. Lo sfoggio di
fasto e indecenza non aveva rivali nella sua memoria! Su plinti d'onice
candelabri tempestati di murre e topazi si aprivano come orchidee elargendo una
luce afrodisiaca. L'aria era un incensiere di essenze inebrianti, frangipane,
coriandolo, aloe e cannella, e le pareti florilegi di stucchi artistici,
damaschi ornamentali, flabelli di pavone, panoplie di reliquie e di armi
inaudite fabbricate con minerali sconosciuti e parti di scheletro. L'arredo
predominante era un enorme letto a goccia, sul quale un trio di amanti ignudi si
dava discretamente da fare. Le fattezze delle due odalische, una dall'incarnato
liliale e l'altra scura come bronzo rovente, sarebbero state la fortuna e forse
la perdizione di tutti gli imbrattatele di Rosavena. Il giovane gonzo, un
discobolo di sculto marmo corvino, le intratteneva con una tale bestemmia tra i
quadricipiti da indurre il Veltro a distogliere involontariamente lo sguardo. Che
cadde su una figura femminile discinta e avvenente, adagiata su un faldistorio
foderato di organza, forse in procinto di aggregarsi al baccanale.
"Emebet, ecco lo straniero che attendevate" annunciò il nano profondendosi
in un salamelecco. La donna si drizzò con una movenza aggraziata e felina.
"Benvenuto nella mia alcova. Io sono Tiamat Aurotene" Camuffando una
schietta incredulità, Veltro esaminò con maggiore attenzione la controparte
della condotta. Non palesava più di venticinque primavere, anche se un guizzo
di oscura intelligenza nei torque ambrati delle sue iridi denotava una
scaltrita esperienza che trascendeva la giovane età. L'aura di Tiamat era
quella di un sogno pericolosamente incarnato. Il volto, dal naso aristocratico e le labbra altere, era
rabescato di henné rosso squillante e drappeggiato da un'acconciatura alta ed
elaborata di riccioli ramati. Una ragnatela di trasparenze discinte pronunciava
i fianchi stretti e quasi mascolini, spartiacque tra gambe affusolate e
atletiche e una doppietta di seni fermi come lune. A cavallo di essi un monile
d'elettro e lapislazzuli riproduceva il geroglifico ottopode in calce alla
missiva d'ingaggio. Le lunghe dita adorne di tatuaggi criptici schioccarono
all'indirizzo del prestante virgulto, che si snodò dallo sconcio triangolo
lasciando le donzelle ad arrangiarsi da sole. A giudicare dai mugolii
ininterrotti, non sembravano particolarmente contrariate ... "Non fatevi caso"
flautò Tiamat con un sorriso smaliziato, indicando al Veltro una scranna di
padouck "Sono venuste quanto selvatiche. In un posto dove la vita conta
meno della morte, il minimo che si possa fare è circondarsi di cose belle e
ricercate ..." Il servo statuario riapparve reggendo una caffettiera
d'argento e due tazze a zampa di leone. Grauser si addossò taciturno alla
parete, immobile come uno dei cimeli esposti. "Il miglior karkadè di Port Tijaratur"
offrì Tiamat. Il Veltro declinò recisamente, evitando di mostrare il disagio
per la vicina proboscide. "Capisco" disse Tiamat mescendosi l'infuso
e sorseggiandolo per prima "Come vedete, non è avvelenato ..."
Liquidò il negro, riadagiandosi voluttuosamente sul faldistorio. "Vi prego
di perdonarmi per il contrattempo di poco fa" riprese "ma come
intenderete una persona nella mia posizione deve saper salvaguardare i propri
interessi" "Nessun problema" si schermì Veltro "Mi ha
aiutato a chiarire il perché vi siate rivolta a un professionista d'oltremare
..." "Touché" ammise Tiamat "Pare che non amiate i
preliminari. Dote pregevole in un sicario, meno in un concubino"
"Dipende dai punti di vista!" "Allora ascoltate il mio" Il
viso di Tiamat si atteggiò a una assorta durezza, mentre il suo timbro pieno di
aspirate esponeva meticolosamente i fatti.
"Noi
Aurotene siamo i discendenti di una illustre famiglia di impresari e
commercianti, più antica di qualsiasi cabala o gilda di Thanatolia. Per
convenzione, il ramo rappresentato da mio cugino Levias cura gli interessi
familiari ad Handelbab e nei deserti
cinerei, mentre Port Tijaratur è nostra riserva esclusiva. Avete già conosciuto
Grauser, il mio consigliere ..." Il nominato montò un sogghigno di
circostanza "La situazione al sud è assai più articolata che al nord. Là
bastano le spade di un buona milizia, e argentieri che sappiano far girare gli
abachi. La Baia è un habitat estremamente complesso, balcanizzato da vecchie
tensioni e nuovi antagonismi. Oltre ai ladri e ai tombaroli qui abbiamo
corsari, schiavisti, trafficanti e affaristi di ogni vaglia, pronti a
destabilizzare i delicati equilibri di cui la nostra organizzazione si è sempre
fatta scudo. Suppongo sia un poco come da voi: potentati, corporazioni e
signorie in perenne conflitto per il medesimo osso ...” Veltro annuì. “ Chi è
incaricato di custodire l'ordine ha dalla sua la diplomazia, ma anche la
fermezza. Se un cane ti si rivolta contro, puoi metterlo alla catena. Ma se
riesce a liberarsi e comincia a seminare discordia a tuo detrimento, allora è
tua responsabilità abbatterlo" "Di quale cane stiamo parlando?"
Tiamat inarcò le sopracciglia disegnate. "Si chiama Mantera. Un predatore
di cripte di prim'ordine, forse il meglio su piazza. E' stato il più assiduo
dei miei fornitori. I tesori che lui trafugava e che io ricettavo toccavano
cifre da capogiro. Un bandito senza scrupoli, dall’audacia ammirabile. Non
sembrava temere nulla, men che meno la morte. E infatti due lune fa ha trucidato
tre dei miei scherani nel corso di una transazione, portandosi via il mio
argento e una delle mie schiave." "Sarà stata una bella somma
..." "Non mi importa di quello!" tuonò Tiamat, gli occhi
rosseggianti come tizzoni "Ho abbastanza dobloni da colare a picco una
flotta! E' che costui ha osato insanguinare la mia casa, umiliandomi al
cospetto di occhi che dovrebbero temermi come i topi temono l'ureo ... Il
passato mi ha insegnato che in questo ambiente la credibilità è tutto. In un
mare infestato dagli squali, la minima perdita di sangue è il viatico per
finire sbranati. Mantera è uccel di bosco, e va beandosi della sua impunità. La
ferita deve essere suturata il prima possibile ..." "Con tutto il
rispetto, madonna Aurotene" obiettò il Veltro "ma non riesco a
capacitarmi di come, data la vostra disponibilità di mezzi, non sia già stato
possibile sanare la questione ..." "Thanatolia è il reame delle contraddizioni,
oltre che dei morti.Tra i tombaroli vige una sorta di alleanza non scritta, il
Patto di Torcia, che li vincola a non tradire in nessun caso un loro congenere.
Mantera approfitta di questa assurda tradizione, di gente che venderebbe la
madre per un ovulo di oppio!, trovando un omertoso riparo nell'entroterra
desertico di Ordog. Abbiamo tentato di stanarlo ma l'uomo assoldato, un
tagliagole Izyaken, ha voltato gabbana e corre voce si sia unito alla sua
causa..." Veltro soffocò una risata. "In un certo senso, Mantera è
già spacciato. A nord e a occidente ci sono le Ceneri, che solo un suicida
traverserebbe per intero. A est il Tormenghast e le Foreste di Ferro, dove la
sua taglia sventola su ogni asta di bandiera. A sud lo aspettiamo noi ... Però
ogni giorno che passa è una crepa che mina la mia rispettabilità! Come posso
allungare i tentacoli in questa metropoli se non riesco nemmeno a sbarazzarmi
dei parassiti? Io voglio che voi raggiungiate l'entroterra, acciuffiate Mantera
e lo riportiate a Port Tijaratur, possibilmente vivo. Vi corrisponderò un extra
in questo caso, il doppio ammontare della taglia..." Per poco Veltro non balzò dallo scranno.
"L'importante è che sia riconoscibile. Devo decidere se ingabbiarlo nel
Berlicche Bislacco e lasciare che ischeletrisca, o decapitarlo e inalberare la
sua testa all'ingresso ..." Veltro simulò
una misurata professionalità, quando ogni atomo del suo essere già schiumava
per l'impresa: "Occorrerà del tempo prima che riesca a rintracciarlo. A
quanto dicono Thanatolia è immensa, e io non ne conosco nemmeno le mappe"
"Non ci sono mappe all'inferno!" interloquì Grauser, traendosi subito
in disparte "L'incombenza non vi compete. Malgrado il Patto di Torcia,
abbiamo diversi informatori già in loco capaci di orientarvi al bersaglio.... Voi
dovrete solo sbrigare il lavoro sporco. E’ per questo che vi pago, e abbastanza
profumatamente credo! Adesso potete andare: se accettate, la vostra partenza è
fissata per domattina" Il Veltro, leggermente inebriato, si sollevò per
accomiatarsi. Grauser lo marcò da presso, un'ombra rimpicciolita e grottesca.
Sul letto sterminato il trio di lussuriosi ci dava dentro come se il mondo dovesse
schiantarsi quella notte. Veltro apprezzò, senza davvero invidiarla, la loro
dedizione. "C'è ancora una cosa" aggiunse Tiamat Aurotene. Veltro la
guardò negli occhi, velati da un ricordo tempestoso. "La schiava rapita da Mantera, si chiamava
Racne. Ho il fondato sospetto che sia complice nel tradimento. Ora dicono sia
la sua puttana." Tiamat si morse le labbra dolci come vino mortale, nel
passare al tu. "Uccidila. Una vita in più o in meno non fa differenza, per
uomini come te. Se mi porti il suo orecchio, ti donerò una di queste
anticaglie. Sono inestimabili. Al porto potrai piazzarla a qualsiasi cifra." Il sicario aggrottò
la fronte: "Un orecchio?" Tiamat sorrise agramente: "Capirai a
tempo debito" Veltro assentì. Le odalische proruppero in un consonante
gemito di piacere. "Ora riposa, cacciatore di taglie. Ti aspetta un
compito arduo. Tanatholia è avida di sacrifici ..." "Me ne sono
accorto" bofonchiò il Veltro riassettandosi la cappa.
"Ci sono due modi per raggiungere
l'entroterra" chiarì Grauser, incedendo a passo d'uomo su un cammello
bonsai "Uno è il Guado, via fiume. L'altro sono le Aquae Marce, bassopiani
palustri popolati da strane creature. Si estendono su una rete di camini
vulcanici estinti da eoni. I cercatori e i tombaroli battono spesso le antiche
caldere, nella speranza di riesumare ancora qualcosa dalle fangaie! Se non sai
la strada, corri il rischio di perderti tra rovine putride e tribù di cannibali
.... Ah, ecco l'alzaia!" Sul finire della squallida prospettiva, il Veltro
avvistò una battigia grigiastra con un natante arenato. Stavano percorrendo una
propaggine di Port Tijaratur con le stimmate della miseria, dove il labirinto
di casbe e bazar aveva abdicato per grappoli di passerelle, scivoli e palafitte
di uno squallore indecoroso. Soverchiati dalle arcate decrepite di un ex
acquedotto, ragazzini cenciosi e mendicanti derelitti rovistavano nelle melme
dei canalicoli per raggranellare qualsiasi bene più prezioso dello sterco. Un
tanghero dal fisico riarso del lupo di
mare si fece loro incontro. Dallo scollo della giubba da stradiotto sgorgava un
verminaio di peli stinti. "Viva la morte, Coma'ante!" lo apostrofò
Grauser nel folcloristico saluto thanatolico. Coma'ante rispose con uno sputo così
veemente da forare la rena. "E' questo il passeggero?" si informò tirando
su altro muco. Il nano annuì. Impassibile, Coma'ante constatò: "Siete in
ritardo". Nell'accostarsi all'unico battello ormeggiato a quel simulacro
di costa, Veltro intuì quale delle due vie per l'entroterra gli sarebbe
toccata. L'algosa rampa d'imbarco era desolata salvo due insolite figure
intente a fissarlo, una megera dall'aspetto scarmigliato con a mano una bambina
scarnita. Per qualche ineffabile ragione Veltro covò l'impressione che lo
stessero aspettando. La piccina si slacciò dalla stracciona e sgambettò sulla
sabbia. C'era qualcosa di sinistro nel suo deambulare, e quando gli fu alla
cintura Veltro si rese conto con raccapriccio che non era affatto umana! I
tratti legnosi di plasticarne vagheggiavano quelli di un vitruviano, ma di un
modello irrefutabilmente alieno, ignoto in Penumbria. Gli occhi circolari ed
espressivi come fori di colubrina si impigliarono nei suoi, ed un brivido lo
elettrificò mentre la bocca della bambola gli parlò senza muoversi: "Per
uscire pigia due losanghe e un piede di mosca" La mano di cera allungò
meccanicamente un oggetto scuro che Veltro accettò sulla base di un impulso
coartante. Solo dopo mise a fuoco il frammento amorfo di roccia vulcanica, con
l’estraniamento di chi serra nel palmo un talismano dai poteri arcani.
"Avanti, pezzo grosso. E' ora di cuocersi le ossa" gracchiò Grauser
dalle gobbe miniaturizzate del cammello. Veltro lo squadrò come se le scorgesse
in quel momento. Poi risalì la banchina, seguendo con occhi pensosi la bizzarra
coppia svanire nello squallore degli abituri.
Il traghetto di
Coma'ante, un rattoppato barcone a otto remi, da tempo immemore faceva la spola
tra i bassifondi di Port Tijaratur e gli avamposti desertici. Il Guado era incontrovertibilmente
il tragitto più celere, grossomodo mezza giornata di voga. Seduto a prora,
Veltro valutava sotto la tesa del cappellaccio la tetraggine del panorama. La
chiglia dello scafo segava una marana limacciosa, seminascosta da cuore di
ninfee e foglie decomposte. La mota lutulenta, punteggiata di isolette
spugnose, emanava uno smog mefitico dai miasmi così avvolgenti da ovattare i
pallidi raggi del sole. Veltro consultò
per scrupolo la sua cipolla: si, il grande auriga avrebbe dovuto essere già
alto ... L'umidità era asfissiante. Nugoli proteiformi di insetti brulicavano
tra i canneti e le felci insalubri, avanguardia di una flora dai colori smorti.
Concrescenze di nodularie e fungosità albine soffocavano le cortecce cancrenose
delle mangrovie tormentate. Una tantum incrociavano altre chiatte, simili o
piccole come canoe. Coma'ante ne salutava gli equipaggi con un'alzata del
calumet che rosicchiava senza tregua. A bordo, esclusi i miserabili vogatori,
c'erano solo tre passeggeri, un adulto un ragazzo e una fanciulla. Se ne
stavano a poppa, appartati, abbandonandosi di tanto in tanto in conciliaboli
inudibili. La pelle color tabacco e il taglio degli occhi di zaffiro li
qualificava come famigliari, oltre che indigeni dell'etnia Izyaken. Paludati
nelle djellaba tinte a mano, i maschi indossavano turbanti color arena e la
femmina uno scialle indaco che stabiliva un vivace pendant con le iridi lunate
dal kajal. Veltro si scoprì a indugiare troppo spesso sul profilo armonioso di
quel viso, dai lineamenti intarsiati, il naso pennellato e una voglia a
coccinella sulla guancia, tanto che il battelliere si schiodò dal suo grezzo
sedile e lo avvicinò a prua. "Un bel bocconcino" gli alitò a
insidiosa distanza "ma è più la fatica del gusto. Quegli zingari ti
accorcerebbero le orecchie con le takuba se solo si accorgessero di come l'hai
occhieggiata!" Veltro riservò a Coma'ante un'occhiata al vetriolo. "Non
che la cosa possa impensierirti!" Il traghettatore allargò le braccia
smilze "So chi sei. Un duro, a quanto si dice. Ma a Thanatolia anche i
duri devono stare in campana: qui niente è mai come appare. Ciò che sembra
morto da secoli, un istante dopo può ucciderti ..." Veltro accennò alle
malsane nebbie acquitrinose. "Ma sono disabitate?" Pochi metri dopo,
in un'ansa del letto navigabile, la bruma si rarefece e una palizzata di
giunchi rispose in vece dell'interrogato. La barricata proteggeva una sponda
fangosa, dove tepee di cannicci e rozze capanne si raccoglievano attorno ad un
totem dalle fattezze ripugnanti. Bipedi inumani dagli arti palmati e il pelame
liscio e lucente delle lontre gracidarono all'unisono al passaggio dell'imbarcazione,
un ritmico gorgheggio di batraci o di bertucce inquiete che assistano a un
misterioso fenomeno naturale. "I Paduli" commentò caustico Coma'ante
"Gli autentici guardiani del Guado. I loro idoli sorgevano tra i giunchi
ben prima che gli Antesignani erigessero obelischi agli dei perduti ... Non
sono malvagi, non deliberatamente almeno. Talvolta capita che un tombarolo sprovveduto
violi uno dei loro tabù, ed ecco che invece delle limacce nel pentolone tribale
ribolle uno stufato più roseo e succulento...
Fosse per me, farei tutto un paglione di quella feccia sbragata e ci
appiccherei un bel rogo!" Coma'ante sottolineò la sua opinione con un
parabolico scaracchio nella gora, poi si ritirò borbottando alle plance. Gli
Izyaken, improvvisata una nenia augurale, pasteggiarono a datteri e pane
azzimo. Lo spuntino riattizzò il languore del Veltro, che rovistò nella scarsella
in cerca di una razione. Le sue dita inciamparono in qualcosa di freddo e
sconosciuto. Il frammento di carbone vulcanico! Incredibile come avesse rimosso
lo strano incontro di poco fa … Ruminando vitella essiccata Veltro esaminò
l'insignificante lapillo, mentre un'idea suggestiva prendeva autonomamente
corpo nella sua testa. Rispolverando i rudimenti del Pirruccio, suo giovanile
maestro di bottega, Veltro si armò di un temperino robusto e si mise all'opera.
Il quarto conclusivo del Guado si spalancava in un delta di
acque correnti, dell'estensione di un ramo lacustre. I nodosi vogatori pagaiavano
con rinnovata lena, pregustando i conforti della tappa. Veltro scrutava i
flutti stigi spingere pigramente a valle gineprai di radici e grossi tronchi
dalla scorza scagliosa. Uno di essi filava controcorrente, in un bulicare di
spuma. Veltro si ritrasse d'istinto dal bordo. Un collo serpentino e bicipite,
lungo come quello di una giraffa, si aderse dalla fanghiglia sondando la
foschia con due paia di gialli occhi da cerasta. Un attimo dopo, una delle teste
si disintegrò in un boato. Più allarmato dallo sparo che dal mostro, Veltro
vide Coma'ante brandire una spingarda arrugginita e sghignazzare senza
costrutto. Il plesiosauro si inabissò inchiostrando il volutabro di icore
sugoso. Attraccarono a mezzogiorno tra le pinacce di un molo modesto, che si incarniva
in un insediamento di vongolari dall'aria depressa. I passeggeri si accalcarono
simultaneamente alla rampa di sbarco. Gi Yziaken trascinavano sbuffando il frutto
dei loro baratti a Port Tijaratur. Senza farsi notare, Veltro sfiorò la mano
guantata della giovane nomade e le ripose nel palmo il pezzo intagliato di
pietra nera. Stava correndo un rischio serio quanto inutile. La fanciulla
guardò la figurina, strabuzzando gli occhi scintillanti. Poi, in una frazione
di secondo, sorrise al Veltro e intascò il dono imboccando la passerella. La
stessa ignota ragione che lo aveva indotto a compiere quel gesto gli infuse una
sensazione di misterioso appagamento. I preparativi per il cammino furono
sbrigativi. Veltro acquistò acqua, coperte e provviste all'unico emporio di Omorto,
e al maneggio contrattò per una cavalcatura ibrida che fino ad oggi aveva udito
solo nelle ballate thanatoliche. Il dromwar, una grottesca combinazione di un
sauro e un dromedario, era più brutto di quanto immaginava, ma la sua estetica
era compensata dalla docilità ed un’impareggiabile refrattarietà alla
disidratazione. Sulla squamosa nave del deserto, Veltro era pronto ad affrontare
il reame dei morti. Dal villaggio si dipartivano solo due itinerari. A est i picchi
brulli del Tormenghast, verso cui l'eterogenea carovana di zingari andava
avviandosi a dorso di mulo. E a ovest ... Veltro uscì da Omorto transitando
davanti all’unico, laido postribolo. Sotto il patio avvistò Coma'ante, che gli
ragliò: "Buona caccia, pezzo grosso! Tiamat mi paga fino alla prossima
luna per aspettarti. Vedi di fare in fretta: qua il vino è di saguaro, e le
baldracche hanno stracci al posto delle tette!" "Puoi sempre sparare
ai serpenti" lo consolò il Veltro. Il barcaiolo snudò i denti ingialliti
ma integri in un riso torvo: "So di non andarti a genio, ma ti assicuro
che trent'anni in questo inferno non addolciscono il carattere ... Vuoi il
consiglio di un incivile? Batti le Piste Calpeste, forestiero, e non deviare
mai dalla rotta consigliata. Le scorciatoie là fuori conducono a un'unica
direzione, e non ci vuole un savio per immaginare quale sia..." "Viva
la morte a voi, Coma'ante! Fatevi trovare nei paraggi, al mio ritorno" Il
Veltro spronò il dromwar, che con una specie di bramito si mise in marcia verso
il deserto di Ordog.
Nessun commento:
Posta un commento