lunedì 9 gennaio 2017


SPIRAGLI DI BUIO

Universo di Crypt Marauders Cronicles

2.   L’INFERNO NON HA MAPPE

     

                                                                Grauser lo introdusse  in un angusto passaggio secretato da un pannello di palissandro, sul retro della taverna. Un corridoio rischiarato da lumi a olio sprofondava in uno spazioso salone sotterraneo, dove il Veltro sgranò gli occhi. Lo sfoggio di fasto e indecenza non aveva rivali nella sua memoria! Su plinti d'onice candelabri tempestati di murre e topazi si aprivano come orchidee elargendo una luce afrodisiaca. L'aria era un incensiere di essenze inebrianti, frangipane, coriandolo, aloe e cannella, e le pareti florilegi di stucchi artistici, damaschi ornamentali, flabelli di pavone, panoplie di reliquie e di armi inaudite fabbricate con minerali sconosciuti e parti di scheletro. L'arredo predominante era un enorme letto a goccia, sul quale un trio di amanti ignudi si dava discretamente da fare. Le fattezze delle due odalische, una dall'incarnato liliale e l'altra scura come bronzo rovente, sarebbero state la fortuna e forse la perdizione di tutti gli imbrattatele di Rosavena. Il giovane gonzo, un discobolo di sculto marmo corvino, le intratteneva con una tale bestemmia tra i quadricipiti da indurre il Veltro a distogliere involontariamente lo sguardo. Che cadde su una figura femminile discinta e avvenente, adagiata su un faldistorio foderato di organza, forse in procinto di aggregarsi al baccanale. "Emebet, ecco lo straniero che attendevate" annunciò il nano profondendosi in un salamelecco. La donna si drizzò con una movenza aggraziata e felina. "Benvenuto nella mia alcova. Io sono Tiamat Aurotene" Camuffando una schietta incredulità, Veltro esaminò con maggiore attenzione la controparte della condotta. Non palesava più di venticinque primavere, anche se un guizzo di oscura intelligenza nei torque ambrati delle sue iridi denotava una scaltrita esperienza che trascendeva la giovane età. L'aura di Tiamat era quella di un sogno pericolosamente incarnato. Il volto, dal naso  aristocratico e le labbra altere, era rabescato di henné rosso squillante e drappeggiato da un'acconciatura alta ed elaborata di riccioli ramati. Una ragnatela di trasparenze discinte pronunciava i fianchi stretti e quasi mascolini, spartiacque tra gambe affusolate e atletiche e una doppietta di seni fermi come lune. A cavallo di essi un monile d'elettro e lapislazzuli riproduceva il geroglifico ottopode in calce alla missiva d'ingaggio. Le lunghe dita adorne di tatuaggi criptici schioccarono all'indirizzo del prestante virgulto, che si snodò dallo sconcio triangolo lasciando le donzelle ad arrangiarsi da sole. A giudicare dai mugolii ininterrotti, non sembravano particolarmente contrariate ... "Non fatevi caso" flautò Tiamat con un sorriso smaliziato, indicando al Veltro una scranna di padouck "Sono venuste quanto selvatiche. In un posto dove la vita conta meno della morte, il minimo che si possa fare è circondarsi di cose belle e ricercate ..." Il servo statuario riapparve reggendo una caffettiera d'argento e due tazze a zampa di leone. Grauser si addossò taciturno alla parete, immobile come uno dei cimeli esposti. "Il miglior karkadè di Port Tijaratur" offrì Tiamat. Il Veltro declinò recisamente, evitando di mostrare il disagio per la vicina proboscide. "Capisco" disse Tiamat mescendosi l'infuso e sorseggiandolo per prima "Come vedete, non è avvelenato ..." Liquidò il negro, riadagiandosi voluttuosamente sul faldistorio. "Vi prego di perdonarmi per il contrattempo di poco fa" riprese "ma come intenderete una persona nella mia posizione deve saper salvaguardare i propri interessi" "Nessun problema" si schermì Veltro "Mi ha aiutato a chiarire il perché vi siate rivolta a un professionista d'oltremare ..." "Touché" ammise Tiamat "Pare che non amiate i preliminari. Dote pregevole in un sicario, meno in un concubino" "Dipende dai punti di vista!" "Allora ascoltate il mio" Il viso di Tiamat si atteggiò a una assorta durezza, mentre il suo timbro pieno di aspirate esponeva meticolosamente i fatti.

                                                     "Noi Aurotene siamo i discendenti di una illustre famiglia di impresari e commercianti, più antica di qualsiasi cabala o gilda di Thanatolia. Per convenzione, il ramo rappresentato da mio cugino Levias cura gli interessi familiari ad Handelbab  e nei deserti cinerei, mentre Port Tijaratur è nostra riserva esclusiva. Avete già conosciuto Grauser, il mio consigliere ..." Il nominato montò un sogghigno di circostanza "La situazione al sud è assai più articolata che al nord. Là bastano le spade di un buona milizia, e argentieri che sappiano far girare gli abachi. La Baia è un habitat estremamente complesso, balcanizzato da vecchie tensioni e nuovi antagonismi. Oltre ai ladri e ai tombaroli qui abbiamo corsari, schiavisti, trafficanti e affaristi di ogni vaglia, pronti a destabilizzare i delicati equilibri di cui la nostra organizzazione si è sempre fatta scudo. Suppongo sia un poco come da voi: potentati, corporazioni e signorie in perenne conflitto per il medesimo osso ...” Veltro annuì. “ Chi è incaricato di custodire l'ordine ha dalla sua la diplomazia, ma anche la fermezza. Se un cane ti si rivolta contro, puoi metterlo alla catena. Ma se riesce a liberarsi e comincia a seminare discordia a tuo detrimento, allora è tua responsabilità abbatterlo" "Di quale cane stiamo parlando?" Tiamat inarcò le sopracciglia disegnate. "Si chiama Mantera. Un predatore di cripte di prim'ordine, forse il meglio su piazza. E' stato il più assiduo dei miei fornitori. I tesori che lui trafugava e che io ricettavo toccavano cifre da capogiro. Un bandito senza scrupoli, dall’audacia ammirabile. Non sembrava temere nulla, men che meno la morte. E infatti due lune fa ha trucidato tre dei miei scherani nel corso di una transazione, portandosi via il mio argento e una delle mie schiave." "Sarà stata una bella somma ..." "Non mi importa di quello!" tuonò Tiamat, gli occhi rosseggianti come tizzoni "Ho abbastanza dobloni da colare a picco una flotta! E' che costui ha osato insanguinare la mia casa, umiliandomi al cospetto di occhi che dovrebbero temermi come i topi temono l'ureo ... Il passato mi ha insegnato che in questo ambiente la credibilità è tutto. In un mare infestato dagli squali, la minima perdita di sangue è il viatico per finire sbranati. Mantera è uccel di bosco, e va beandosi della sua impunità. La ferita deve essere suturata il prima possibile ..." "Con tutto il rispetto, madonna Aurotene" obiettò il Veltro "ma non riesco a capacitarmi di come, data la vostra disponibilità di mezzi, non sia già stato possibile sanare la questione ..." "Thanatolia è il reame delle contraddizioni, oltre che dei morti.Tra i tombaroli vige una sorta di alleanza non scritta, il Patto di Torcia, che li vincola a non tradire in nessun caso un loro congenere. Mantera approfitta di questa assurda tradizione, di gente che venderebbe la madre per un ovulo di oppio!, trovando un omertoso riparo nell'entroterra desertico di Ordog. Abbiamo tentato di stanarlo ma l'uomo assoldato, un tagliagole Izyaken, ha voltato gabbana e corre voce si sia unito alla sua causa..." Veltro soffocò una risata. "In un certo senso, Mantera è già spacciato. A nord e a occidente ci sono le Ceneri, che solo un suicida traverserebbe per intero. A est il Tormenghast e le Foreste di Ferro, dove la sua taglia sventola su ogni asta di bandiera. A sud lo aspettiamo noi ... Però ogni giorno che passa è una crepa che mina la mia rispettabilità! Come posso allungare i tentacoli in questa metropoli se non riesco nemmeno a sbarazzarmi dei parassiti? Io voglio che voi raggiungiate l'entroterra, acciuffiate Mantera e lo riportiate a Port Tijaratur, possibilmente vivo. Vi corrisponderò un extra in questo caso, il doppio ammontare della taglia..." Per poco  Veltro non balzò dallo scranno. "L'importante è che sia riconoscibile. Devo decidere se ingabbiarlo nel Berlicche Bislacco e lasciare che ischeletrisca, o decapitarlo e inalberare la sua testa all'ingresso ..."  Veltro simulò una misurata professionalità, quando ogni atomo del suo essere già schiumava per l'impresa: "Occorrerà del tempo prima che riesca a rintracciarlo. A quanto dicono Thanatolia è immensa, e io non ne conosco nemmeno le mappe" "Non ci sono mappe all'inferno!" interloquì Grauser, traendosi subito in disparte "L'incombenza non vi compete. Malgrado il Patto di Torcia, abbiamo diversi informatori già in loco capaci di orientarvi al bersaglio.... Voi dovrete solo sbrigare il lavoro sporco. E’ per questo che vi pago, e abbastanza profumatamente credo! Adesso potete andare: se accettate, la vostra partenza è fissata per domattina" Il Veltro, leggermente inebriato, si sollevò per accomiatarsi. Grauser lo marcò da presso, un'ombra rimpicciolita e grottesca. Sul letto sterminato il trio di lussuriosi ci dava dentro come se il mondo dovesse schiantarsi quella notte. Veltro apprezzò, senza davvero invidiarla, la loro dedizione. "C'è ancora una cosa" aggiunse Tiamat Aurotene. Veltro la guardò negli occhi, velati da un ricordo tempestoso.  "La schiava rapita da Mantera, si chiamava Racne. Ho il fondato sospetto che sia complice nel tradimento. Ora dicono sia la sua puttana." Tiamat si morse le labbra dolci come vino mortale, nel passare al tu. "Uccidila. Una vita in più o in meno non fa differenza, per uomini come te. Se mi porti il suo orecchio, ti donerò una di queste anticaglie. Sono inestimabili. Al porto potrai piazzarla  a qualsiasi cifra." Il sicario aggrottò la fronte: "Un orecchio?" Tiamat sorrise agramente: "Capirai a tempo debito" Veltro assentì. Le odalische proruppero in un consonante gemito di piacere. "Ora riposa, cacciatore di taglie. Ti aspetta un compito arduo. Tanatholia è avida di sacrifici ..." "Me ne sono accorto" bofonchiò il Veltro riassettandosi la cappa.

 

                                             "Ci sono due modi per raggiungere l'entroterra" chiarì Grauser, incedendo a passo d'uomo su un cammello bonsai "Uno è il Guado, via fiume. L'altro sono le Aquae Marce, bassopiani palustri popolati da strane creature. Si estendono su una rete di camini vulcanici estinti da eoni. I cercatori e i tombaroli battono spesso le antiche caldere, nella speranza di riesumare ancora qualcosa dalle fangaie! Se non sai la strada, corri il rischio di perderti tra rovine putride e tribù di cannibali .... Ah, ecco l'alzaia!" Sul finire della squallida prospettiva, il Veltro avvistò una battigia grigiastra con un natante arenato. Stavano percorrendo una propaggine di Port Tijaratur con le stimmate della miseria, dove il labirinto di casbe e bazar aveva abdicato per grappoli di passerelle, scivoli e palafitte di uno squallore indecoroso. Soverchiati dalle arcate decrepite di un ex acquedotto, ragazzini cenciosi e mendicanti derelitti rovistavano nelle melme dei canalicoli per raggranellare qualsiasi bene più prezioso dello sterco. Un tanghero dal fisico riarso  del lupo di mare si fece loro incontro. Dallo scollo della giubba da stradiotto sgorgava un verminaio di peli stinti. "Viva la morte, Coma'ante!" lo apostrofò Grauser nel folcloristico saluto thanatolico. Coma'ante rispose con uno sputo così veemente da forare la rena. "E' questo il passeggero?" si informò tirando su altro muco. Il nano annuì. Impassibile, Coma'ante constatò: "Siete in ritardo". Nell'accostarsi all'unico battello ormeggiato a quel simulacro di costa, Veltro intuì quale delle due vie per l'entroterra gli sarebbe toccata. L'algosa rampa d'imbarco era desolata salvo due insolite figure intente a fissarlo, una megera dall'aspetto scarmigliato con a mano una bambina scarnita. Per qualche ineffabile ragione Veltro covò l'impressione che lo stessero aspettando. La piccina si slacciò dalla stracciona e sgambettò sulla sabbia. C'era qualcosa di sinistro nel suo deambulare, e quando gli fu alla cintura Veltro si rese conto con raccapriccio che non era affatto umana! I tratti legnosi di plasticarne vagheggiavano quelli di un vitruviano, ma di un modello irrefutabilmente alieno, ignoto in Penumbria. Gli occhi circolari ed espressivi come fori di colubrina si impigliarono nei suoi, ed un brivido lo elettrificò mentre la bocca della bambola gli parlò senza muoversi: "Per uscire pigia due losanghe e un piede di mosca" La mano di cera allungò meccanicamente un oggetto scuro che Veltro accettò sulla base di un impulso coartante. Solo dopo mise a fuoco il frammento amorfo di roccia vulcanica, con l’estraniamento di chi serra nel palmo un talismano dai poteri arcani. "Avanti, pezzo grosso. E' ora di cuocersi le ossa" gracchiò Grauser dalle gobbe miniaturizzate del cammello. Veltro lo squadrò come se le scorgesse in quel momento. Poi risalì la banchina, seguendo con occhi pensosi la bizzarra coppia svanire nello squallore degli abituri.

 

                                                            Il traghetto di Coma'ante, un rattoppato barcone a otto remi, da tempo immemore faceva la spola tra i bassifondi di Port Tijaratur e gli avamposti desertici. Il Guado era incontrovertibilmente il tragitto più celere, grossomodo mezza giornata di voga. Seduto a prora, Veltro valutava sotto la tesa del cappellaccio la tetraggine del panorama. La chiglia dello scafo segava una marana limacciosa, seminascosta da cuore di ninfee e foglie decomposte. La mota lutulenta, punteggiata di isolette spugnose, emanava uno smog mefitico dai miasmi così avvolgenti da ovattare i pallidi raggi del sole.  Veltro consultò per scrupolo la sua cipolla: si, il grande auriga avrebbe dovuto essere già alto ... L'umidità era asfissiante. Nugoli proteiformi di insetti brulicavano tra i canneti e le felci insalubri, avanguardia di una flora dai colori smorti. Concrescenze di nodularie e fungosità albine soffocavano le cortecce cancrenose delle mangrovie tormentate. Una tantum incrociavano altre chiatte, simili o piccole come canoe. Coma'ante ne salutava gli equipaggi con un'alzata del calumet che rosicchiava senza tregua. A bordo, esclusi i miserabili vogatori, c'erano solo tre passeggeri, un adulto un ragazzo e una fanciulla. Se ne stavano a poppa, appartati, abbandonandosi di tanto in tanto in conciliaboli inudibili. La pelle color tabacco e il taglio degli occhi di zaffiro li qualificava come famigliari, oltre che indigeni dell'etnia Izyaken. Paludati nelle djellaba tinte a mano, i maschi indossavano turbanti color arena e la femmina uno scialle indaco che stabiliva un vivace pendant con le iridi lunate dal kajal. Veltro si scoprì a indugiare troppo spesso sul profilo armonioso di quel viso, dai lineamenti intarsiati, il naso pennellato e una voglia a coccinella sulla guancia, tanto che il battelliere si schiodò dal suo grezzo sedile e lo avvicinò a prua. "Un bel bocconcino" gli alitò a insidiosa distanza "ma è più la fatica del gusto. Quegli zingari ti accorcerebbero le orecchie con le takuba se solo si accorgessero di come l'hai occhieggiata!" Veltro riservò a Coma'ante un'occhiata al vetriolo. "Non che la cosa possa impensierirti!" Il traghettatore allargò le braccia smilze "So chi sei. Un duro, a quanto si dice. Ma a Thanatolia anche i duri devono stare in campana: qui niente è mai come appare. Ciò che sembra morto da secoli, un istante dopo può ucciderti ..." Veltro accennò alle malsane nebbie acquitrinose. "Ma sono disabitate?" Pochi metri dopo, in un'ansa del letto navigabile, la bruma si rarefece e una palizzata di giunchi rispose in vece dell'interrogato. La barricata proteggeva una sponda fangosa, dove tepee di cannicci e rozze capanne si raccoglievano attorno ad un totem dalle fattezze ripugnanti. Bipedi inumani dagli arti palmati e il pelame liscio e lucente delle lontre gracidarono all'unisono al passaggio dell'imbarcazione, un ritmico gorgheggio di batraci o di bertucce inquiete che assistano a un misterioso fenomeno naturale. "I Paduli" commentò caustico Coma'ante "Gli autentici guardiani del Guado. I loro idoli sorgevano tra i giunchi ben prima che gli Antesignani erigessero obelischi agli dei perduti ... Non sono malvagi, non deliberatamente almeno. Talvolta capita che un tombarolo sprovveduto violi uno dei loro tabù, ed ecco che invece delle limacce nel pentolone tribale ribolle uno stufato più  roseo e succulento... Fosse per me, farei tutto un paglione di quella feccia sbragata e ci appiccherei un bel rogo!" Coma'ante sottolineò la sua opinione con un parabolico scaracchio nella gora, poi si ritirò borbottando alle plance. Gli Izyaken, improvvisata una nenia augurale, pasteggiarono a datteri e pane azzimo. Lo spuntino riattizzò il languore del Veltro, che rovistò nella scarsella in cerca di una razione. Le sue dita inciamparono in qualcosa di freddo e sconosciuto. Il frammento di carbone vulcanico! Incredibile come avesse rimosso lo strano incontro di poco fa … Ruminando vitella essiccata Veltro esaminò l'insignificante lapillo, mentre un'idea suggestiva prendeva autonomamente corpo nella sua testa. Rispolverando i rudimenti del Pirruccio, suo giovanile maestro di bottega, Veltro si armò di un temperino robusto e si mise all'opera.

                                              Il quarto conclusivo del Guado si spalancava in un delta di acque correnti, dell'estensione di un ramo lacustre. I nodosi vogatori pagaiavano con rinnovata lena, pregustando i conforti della tappa. Veltro scrutava i flutti stigi spingere pigramente a valle gineprai di radici e grossi tronchi dalla scorza scagliosa. Uno di essi filava controcorrente, in un bulicare di spuma. Veltro si ritrasse d'istinto dal bordo. Un collo serpentino e bicipite, lungo come quello di una giraffa, si aderse dalla fanghiglia sondando la foschia con due paia di gialli occhi da cerasta. Un attimo dopo, una delle teste si disintegrò in un boato. Più allarmato dallo sparo che dal mostro, Veltro vide Coma'ante brandire una spingarda arrugginita e sghignazzare senza costrutto. Il plesiosauro si inabissò inchiostrando il volutabro di icore sugoso. Attraccarono a mezzogiorno tra le pinacce di un molo modesto, che si incarniva in un insediamento di vongolari dall'aria depressa. I passeggeri si accalcarono simultaneamente alla rampa di sbarco. Gi Yziaken trascinavano sbuffando il frutto dei loro baratti a Port Tijaratur. Senza farsi notare, Veltro sfiorò la mano guantata della giovane nomade e le ripose nel palmo il pezzo intagliato di pietra nera. Stava correndo un rischio serio quanto inutile. La fanciulla guardò la figurina, strabuzzando gli occhi scintillanti. Poi, in una frazione di secondo, sorrise al Veltro e intascò il dono imboccando la passerella. La stessa ignota ragione che lo aveva indotto a compiere quel gesto gli infuse una sensazione di misterioso appagamento. I preparativi per il cammino furono sbrigativi. Veltro acquistò acqua, coperte e provviste all'unico emporio di Omorto, e al maneggio contrattò per una cavalcatura ibrida che fino ad oggi aveva udito solo nelle ballate thanatoliche. Il dromwar, una grottesca combinazione di un sauro e un dromedario, era più brutto di quanto immaginava, ma la sua estetica era compensata dalla docilità ed un’impareggiabile refrattarietà alla disidratazione. Sulla squamosa nave del deserto, Veltro era pronto ad affrontare il reame dei morti. Dal villaggio si dipartivano solo due itinerari. A est i picchi brulli del Tormenghast, verso cui l'eterogenea carovana di zingari andava avviandosi a dorso di mulo. E a ovest ... Veltro uscì da Omorto transitando davanti all’unico, laido postribolo. Sotto il patio avvistò Coma'ante, che gli ragliò: "Buona caccia, pezzo grosso! Tiamat mi paga fino alla prossima luna per aspettarti. Vedi di fare in fretta: qua il vino è di saguaro, e le baldracche hanno stracci al posto delle tette!" "Puoi sempre sparare ai serpenti" lo consolò il Veltro. Il barcaiolo snudò i denti ingialliti ma integri in un riso torvo: "So di non andarti a genio, ma ti assicuro che trent'anni in questo inferno non addolciscono il carattere ... Vuoi il consiglio di un incivile? Batti le Piste Calpeste, forestiero, e non deviare mai dalla rotta consigliata. Le scorciatoie là fuori conducono a un'unica direzione, e non ci vuole un savio per immaginare quale sia..." "Viva la morte a voi, Coma'ante! Fatevi trovare nei paraggi, al mio ritorno" Il Veltro spronò il dromwar, che con una specie di bramito si mise in marcia verso il deserto di Ordog. 


 

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