lunedì 16 gennaio 2017


SPIRAGLI DI BUIO

Universo di Crypt Marauders Cronicles

4.   SIA TACIUTO IL SUO NOME

 

                                                                  "Un sorso d'acqua per un assetato, Effendi. E già che ci sei, passami una di quelle gualdrappe che la notte mi si gelano i coglioni!" "Per me possono pure cascarti. Tiamat mi paga per la tua testa, non per le tue dubbie virtù" L'unica pecca della magistrale caccia del Veltro era quella di non aver imbavagliato Mantera. Il fuorilegge possedeva un naturale talento oratorio, un autentico trapano di logorrea. Il fatto è che non si limitava a cantare, inveire o sproloquiare. A causa sua, Veltro aveva corso il rischio di ingaggiare un alterco con quattro vangafosse incrociati a sud del Passo Scintillante. "Aiutatemi, germani! Sono un ladro come voi, caduto nell'imboscata di questo diabolista rinnegato!" aveva implorato il lestofante dentro la sua gabbia. Il clamore della mattanza di Tananai si sarebbe di certo divulgato ai quattro venti, ma era troppo presto perché tutti sapessero della sua scomunica. In nome del Patto di Torcia, le teste calde e le zucche vuote potevano commettere qualche avventatezza ... Per fortuna gli errabondi avevano letto la schietta efferatezza nei lineamenti del Veltro, e preferito non immischiarsi. "Figlio di mille ghoul, testicolo putrefatto, oca morta! Nemmeno immagini in che pesca sei andato a cacciarti ..." Ora Mantera declinava il suo mantra di minacce. Veltro si era attendato in una pietraia frastagliata da ampi canaloni, alle falde di un'amba incrostata di ruderi simili a teschi fossilizzati. Era la seconda notte nel deserto. Il viaggio procedeva a rilento. Dopo l'incidente sfiorato coi tombaroli una subdola paranoia aveva infettato il giudizio del Veltro che, a costo di trasgredire ai dettami di Skrotos e del Coma'ante, aveva leggermente deviato dal tracciato canonico. Giusto un rivolo, quel tanto che bastava per non perdere d'occhio le Piste e contemporaneamente non orbitare attenzioni sgradite. "Privarmi dei miei servi è stato il tuo ultimo errore" rincarò la dose Mantera. Malgrado la persistente molestia, in fondo il Veltro era contento di non avergli mozzato la lingua. Le sue litanie rendevano le notti dell'Ordog meno lugubri e spettrali. "Non mi sembravano starti così a cuore mentre te la svignavi" lo assecondò Veltro "Horla era stupido come un muggito! Io parlavo di Racne ... che gran spreco di fregna! Quella troia sciroccata sapeva fare più giochi con un glande che un illusionista con un mazzo di carte! E hai visto come menava ..." "E' per questo che l'hai rubata a Tiamat, insieme alla grana?" "Tiamat è un puttana manipolatrice, una sadica! Non hai idea a che genere di depravazioni sottoponeva Racne. Se ti fidi di lei sei già morto! Quando mi avrai consegnato, ti farà scuoiare come un ariete nel retro del Berlicche Bislacco!" "In realtà, ci ha già provato ..." mormorò Veltro affilando la spada. Mantera mutò ancora tono, come un serpente cambia la pelle. "Sai che nell'ultima trattativa le ho scucito un bel bottino, no? Quel gruzzolo lo tenevo da parte per la mia fuga a occidente. Ma adesso è tuo! Sei un cacciatore di taglie, un compenso per una vita. La mia. A  te cosa cambia? E’ facile, sta in un nascondiglio ad un giorno da qui. Poi, chi s'è visto s'è visto!" Veltro ripose Sentenza e si grattò il mento spinato da tre giorni di barba. Gli occhi riverberavano pensosi allo scoppiettio della brace. "Sai, è la prima volta che un ricercato mi alletta con un'offerta del genere!  Ventimila lune per un polpo già nella rete, o una deviazione per una meta ignota, verso un tesoro che forse non esiste, tra le mille insidie di un deserto stregato ... almeno mi concedi la notte per sciogliere il dilemma?" "Lurido caprone, verme di catacomba! Prima o poi riuscirò a liberarmi da questa stia per pavoni, e allora piangerei l'istante in cui hai messo piede in Thanatolia!" Veltro si abbassò la tesa del cappellaccio, puntellandosi sulla scomoda stuoia. "Il problema è che i tuoi poi stanno finendo, Mantera"  

 

                                                            Raggiornava, sulle dune. Un albore grigiospento e pulviscolare come l'universo di sabbie obliate dagli dei. La solitudine immutabile del panorama rivaleggiava in piattume con la diafana radiazione del mattino. Era come se le luci del sole, della luna e degli altri corpi celesti si fossero coalizzate in un amalgama corrusco simile a una perpetua alba crepuscolare. Veltro, indurito da anni di guerre e caccie spietate, non era un tipo proclive al nervosismo né uno facilmente impressionabile. Il suo sangue era refrattario agli sbalzi di temperatura. Cionondimeno quel giorno si sentiva oppresso fin nei precordi da assurde premonizioni, forse suggellate da sogni vaghi di cui rammentava trame nebulose. Digiuno, si era messo in marcia con un ingiustificabile e snervante accoramento. A ogni respiro nutriva la surreale sensazione che l'aere o la terra si sarebbero squarciati per figliare qualcosa di abominevole in agguato al di là degli spazi visibili. Era un presentimento atroce, che lo rendeva particolarmente insofferente ai vaniloqui del prigioniero. Un bubbolio all'orizzonte precorse un'insolita raffica di hadramaut. "Aria di tempesta" commentò sardonico Mantera. Veltro si strinse la cappa sulle spalle, infreddolito da un gelo più psichico che fisico. Le insorgenze antidiluviane del Tormenghast, e l'Erebo di caverne occultate nelle loro viscere, incombevano paurosamente come ciclopi saprofagi. Qualcuno spense il lume a ponente, e la luce diurna si fece ancora più avara. Il ghibli thanatolico ora portava un pungente fetore di tomba, che impastava il palato di un sapore ferrigno e nauseante. "Le polveri degli Antichi!" si sganasciò Mantera "Che retrogusto hanno, Penumbro?" L'altopiano, di punto in bianco, risonò di una salva di tuoni raccapriccianti analoghi ai borborigmi di un Behemoth ingordo. Il turbine si sollevò dal Deserto delle Ceneri, librandosi in una torre babelica come un jinn sfuggito dal corindone. In un serrar di palpebra prolassò in una rugginosa e incommensurabile massicciata di sabbia, tefriti e fuliggine, un fronte di forze immiti che avanzava e digeriva a velocità sconcertanti il pianoro di carbonio. Il sole sullo sfondo era un'orbita livida di sangue disseccato. Veltro realizzò che senza un immediato riparo erano bell'e spacciati. Lungo le Piste i pionieri avevano disposto rifugi d'emergenza per calamità simili, ma considerato il bordo d'avanzamento della tempesta era una chimera auspicare di raggiungerli per tempo. Non rimaneva che spingersi ancora più all'interno, nella speranza di incappare in ridosso anfrattuoso dove imbucarsi e aspettare che gli elementi sfuriassero la loro collera primordiale. Almeno le ubbie irrazionali acquistavano una dimensione pratica. Veltro speronò l'adipe papilloso del dromwar, lanciandolo in accelerazione su un'erta accidentata. I mozzi del rimorchio gemevano sui ciottoli aguzzi, incrinandosi vertiginosamente su crepacci improvvisi. I tiranti si allungavano come tendini prossimi al distacco. Nella gabbia beccheggiante Mantera sembrava invasato. "Andiamo soli, da bravi fessi, giù nelle cripte ..." stonava a squarciagola, circonfuso dall'ululato d'ozono dell'apocalisse in arrivo. Un manrovescio di hadramaut mefitico per un soffio non scippò la cappa di Veltro, che infieriva sulla cotenna zigrinata del povero sauro schiumante. L'impervio ciglione sgomitò verso una facciata crivellata di trafori e rientranze. Il buscherio dei tuoni li tallonava come l'avanguardia di una coorte di diavoli. Al volgere del crinale il dromwar stirò le zampe. Un rantolo penoso, simile a un raglio subacqueo, e l'ammasso grinzoso si accartocciò nella sassaia lasciandoli a piedi. Veltro assaporò il travaso di bile. Mantera rideva a crepapelle, la faccia incastonata tra le sbarre come un'emorroide tra due chiappe: "Tiamat deve avertela tirata, socio! Due piccioni con nessuna fava! Uh Uh Uh!" L'ira obnubilò il Veltro. Con un gesto fulmineo inserì il braccio nella gabbia, sorprendendo lo stesso ladro che provò vanamente ad azzannarglielo, ed iniziò ad acciaccargli il grugno contro le inferriate. Cessò solo quando ebbe sentito rompersi abbastanza componenti, e l'incendio verboso di Mantera fu spento. Poi Veltro aprì la gabbia, scaricò l'ingombro sulla ghiaia e lo riempì di altri calci nel culo e sulle vertebre. Lo sfogo gli dava una viscerale soddisfazione. Veltro avrebbe continuato fino a farne un vegetale, se la tempesta non fosse ormai a pochi tiri d'arco. Dunque, bestemmiando inusitatamente, Veltro attorniò i polpacci dell'assassino con il nodo scorsoio di una fune e trainò la sua taglia ai calanchi sforacchiati. Il turbine si infranse sulle pendici dei massicci con l'impeto di un cavallone contro una scogliera. Veltro si infilò nell'arco curiosamente circolare della prima fenditura, e pochi istanti dopo un geyser di ceneri veloci come proiettili e strali di fossili polverizzati deflagrò dall'imboccatura. Tritume di cripta e crematorio intasò i bronchi di Veltro, asfissiandolo come il sudario mefitico di un nachzerher. Tossì fino a nebulizzare sangue, e sciupò mezza borraccia per rintuzzare l'asma. Fuori, il vento mugghiava come un minotauro deluso dal mancato sacrificio. Veltro appurò che Mantera respirasse ancora. Un russare costante, arrochito dal setto maciullato, glielo confermò. Era l'unica nota lieta dello spartito. Si trovavano nell'occhio di una bufera thanatolica, a due giorni di cavallo dal Guado ma senza cavallo, nel seno di una spelonca buia e puzzolente. La sua logica, di nuovo padrona, gli ingiunse di perlustrare l'ambiente circostante. Frugata la sacca, zolfone e  candelotto sfrigolarono nel tunnel una luce apatica. Veltro ebbe nuovamente l'impressione della sinistra artificialità della volta arcuata, come se a scavarla nell'epa del monte non fosse stata la geologia ma un'ignota coscienza anteriore. La ruggine ossea della tempesta non aveva coperto del tutto un rebus di orme bizzarre e recenti impresse nel suolo argilloso. Veltro avviluppò il ladro nella fune, e pistola alla mano si insinuò nel budello. Il tanfo di putrido sembrava acuirsi. Un sentore più umido, più di carcassa che di mummia stagionata. Forse era la tana di una moffetta o di una manticora. oppure era l'inquilino della cava la scaturigine di quella pestilenza ... D'un tratto il passaggio si ampliò in uno spazioso ridotto, e la brace della teda manifestò l'inesplicabile. In fondo al cul-de-sac sorgeva una porta. Non una porta di legno borchiato, o di grate ossidate, ma la lastra discoidale di uno sconosciuto metallo lucente, scuro come ossidiana. Di certo non erano state le alchimie naturali a forgiarla ... Veltro avanzò cautamente. Accanto al portale, nella scabra roccia paleozoica, risaltava un rombo del medesimo metallo, effigiato da un alveare di paleogrammi irriducibili ad alcun alfabeto familiare. Veltro avvicinò la mano alla cornice ed i glifi si animarono di un ambrato bagliore turchino. Ritirandola, baluginavano fino ad annerirsi come astri defunti. Sedotto dalla scoperta, Veltro non badò all'osceno fetore, adesso quasi tangibile, né all'ombra immonda che si distaccò dalle altre che popolavano la volta. I collaudati automatismi del suo mesencefalo scattarono una frazione in ritardo, il tempo di cogliere una sagoma clownescamente bestiale stagliarsi su di lui. Una mazzata alla tempia lo disarticolò dalla realtà.       

                                                                  eoni dopo, Veltro riemerse dal nero per trovarsi nel marrone. Era nudo, intontito e ammanettato ad una superficie pinacoide fredda come vetro. Gli occhi bruciavano come se galleggiassero nella calce viva. Il senso di disorientamento era sopraffacente. Anche Mantera, inchiodato al tavolo attiguo come una rana da laboratorio, non aveva una bella cera. Dal profilo tumefatto gli saliva un sibilo apoplettico, e la pelle solcata da antiche feritacce appariva clorotica alla radiosità verdebionda dei lampadari scevri di fiamme. Un odore di marcescenza e miasmi acidi neutralizzava la volontà, e Veltro dovette sudare freddo per instaurare una parvenza di autocontrollo. L'ambiente che mise a fuoco era alieno quanto blasfemo. Una camera dal soffitto basso e tortile, sostenuto da colonne dello stesso metallo lustro del portale, che si aprivano su anditi tenebrosi. Oltre ai loro contò sei altari vuoti, più simili a banchi mortuari in realtà, puntati come falangi verso una teoria di sarcofagi di un cristallo patinato simile a tormalina. Sembravano tutti sgombri tranne uno, forse, paludato dalla grama penombra. Grappoli di cavi bizzarri e gommosi dipartivano dai cofani ramati e si inserivano nel lastricato metallico delle pareti. Codeste grondavano stigmi dalle geometrie allucinanti, incomparabili a qualsiasi cifra estetica e su cui era salubre non soffermarsi. La palma del macabro però andava ad un mobile d'angolo, simile ad un osceno trumeau di lacerti tassidermici e scheletraglia saldata a una stravagante ferramenta di placche e chiavarde. L’aria putibonda dell'antro era pervasa da un ronzio malefico e angoscioso, impossibile da localizzare. "Dove cazzo siamo?" blaterò raucamente Mantera. Domanda scontata, ma a cui il Veltro non osò rispondere. Le ipotesi erano così atroci da far rimpiangere il deliquio del coma. "Ehi, li senti anche tu?" "Già" Passi sovrapposti in arrivo dal buio, che l'udito assoluto del Veltro attribuì a due distinti proprietari. Uno lieve e regolare, l'altro malfermo e strascicato. "Mantera, se hai mai avuto una coscienza ti suggerisco di pentirti ora" disse Veltro lapidario "Bah" Mantera sputò sulla colata di porfido del pavimento "Il mio unico rimorso è non poterti accoppare di persona" Il cinismo del ladro anticipò la comparsa dei loro sequestratori. Veltro torse il collo per squadrarli meglio. Un incappucciato esile e misterioso sostò all'ombra dei pilastri. Da essa si scollò una larva d'uomo, di gran lunga più malridotta dei prigionieri inchiodati ai tavoli. Uno sbricio pianeta intriso di umori inqualificabili incellofanava una corporatura magra al di là del concetto di consunzione. C'era solo una pellicola di pelle color pergamena sul suo teschio angoloso, deformato da una smorfia di depravato compiacimento. Un arcano artefatto di luci ondivaghe come fuochi fatui gli premeva il torace macilento, agganciato a una collana di denti umani. Il fattucchiere claudicò fino al cuore della camera, e puntò l'artefatto verso l'orripilante collage di organi e metalli. Una scarica di energia bluastra guizzò come una lingua biforcuta da un piccolo pomello alla sua sommità, e gli aborti di gambe che Veltro aveva scambiato per appoggi si mossero con lo scricchiolio di articolazioni anchilosate. Gli stipetti e i portellini si schiusero docilmente ad un comando del mago, rivelando un foderame di legamenti necrotici e costole disincarnate dove alloggiavano spaventosi attrezzi cerusici. "La vera Scienza" mormorò il negromante. Le pupille nere come carboni erano accese di un’ esaltazione messianica.  "Ehi, paesano, ma io ti conosco!" Gli occhi del maniaco saltarono alle spoglie nude di Mantera. "Sei Vool'mag lo stregone della masnada di Nan Drol! Ora ti riconosco! Perdona la franchezza, ma ho visto spaventapasseri più in forma di te!" Vool'mag impegnò le grinfie ossute con un bisturi dal filo micidiale e un corto alambicco, e zoppicò verso gli altari. La sua aura raggelante sembrava estinguere il calore della carne. Il cuore del Veltro si incagliò . "Non puoi averlo scordato, vi ho fatto da guida al Famedio Franto lo scorso alcione. Siamo fratelli in Torcia, vecchio mio!" lo impetrò Mantera, il tono spezzato "Io non c'entro! Scioglimi dalle manette e ti aiuto a scuoiare questo tradi ... aaargh" La lama slabbrò l'avambraccio del ladro, ed il sangue filtrò nella provetta tra le urla rabbiose di Mantera. "io non sono più Vool'mag, pezzo di carne, e tu non sei altro che una cavia" chiarì il negromante. La sua voce sepolcrale racchiudeva un intero mondo di pagana perversione. Vool'mag manipolò la reliquia lampeggiante e l'empio carrello di carcame e ferraglia lo raggiunse ciondolando. Veltro adocchiò la seconda figura venire allo scoperto, e scivolare silenziosamente accanto al suo altare. Era una donna, o almeno ne aveva le credenziali. A  nord dei lombi portava un saio grigio che le fasciava i connotati, tagliato all'altezza del pube. Malgrado le circostanze Veltro non poté esimersi dall'apprezzare la linea morbida delle cosce color caffè. La strana monaca si rifornì dai turpi vassoi e meccanicamente prese ad emulare i gesti dello stregone. Veltro non oppose resistenza, a differenza di Mantera che si contorceva come un luccio sbuzzato. "Non lo sono più da quando il Necrolorum, il trattato di chirurgia infernale, mi ha guidato in questo laboratorio" continuò Vool'mag, scambiando il campione di sangue con dei vetrini e un lungo uncino "Era un laboratorio dei Coeterni, lo immaginate? Ce ne sono altri, nelle gallerie del Tormenghast. Li costruirono prima che la Regina - sia Taciuto il suo Nome - fosse bandita dalla sfera materiale, quando l'umanità era ancora fango sotto la notte illune" Veltro seguì i polpastrelli della sconosciuta corrergli lungo il corpo, un tocco quasi premuroso, mentre asportava campioni di saliva, di muco, di cerume. "Per i Coeterni la vita e la morte erano giusto parametri, variabili di equazioni che oggi surclasserebbero la più ardita blasfemia! Allora i negromanti non erano avventurieri da strapazzo, ma teurghi dai poteri ultraterreni, lo strumento di Entità più antiche del tempo e dello spazio ..." Le quattro ossa di Vool'mag tremavano incontrollabilmente, intossicate dal tetano di scibili oltremondani "Io vi guardo e vedo solo insulsa putrefazione. Cos'è la vita come viene intesa, se non una schiavitù del caduco, una prosopopea della materia? I vostri secreti serviranno per uno scopo più nobile, il rituale del Nganga, la pozione che donerà la non-morte alla vostra carne. Così è stato per Nan Drol e i suoi tirapiedi, le mie prime cavie, e per le altre che la provvidenza ha menato sin qui ..." Veltro scrutò con maggior studio la suora. C'era qualcosa di misteriosamente familiare nelle sue fattezze ... "Vuoi farmi un dono, avanzo di cripta? Passami uno di quei castraporci e curerò il tuo problema" ringhiò Mantera "Ehi, allontana quel cavatappi dal mio tafanario! Ma cosa... non pensarci neanche, invertito del cazzo!" "Ogni fluido va spremuto, lo dice il Necrolorum. Farà più male se ti dibatti ..."  Le dita affusolate dell'assistente cinsero senza preavviso il mollusco tra le gambe del Veltro. Almeno la giustizia non è del tutto morta in quest’obitorio, pensò agramente. "Lascia perdere, zucchero" le consigliò Veltro "Non è proprio aria". La concavità avvolgente della ragazza non si diede per vinta e, seppur con la morte nel cuore, qualcosa nei bassifondi del Veltro cominciò a palpitare. "Non sei tenuta a farlo" le sussurrò sforzandosi di non assecondare la ritmica della mano. Nemmeno le strilla suine di Mantera riuscivano a smorzarlo. Veltro si focalizzò sul volto della giovane. Il cappuccio si era scostato, e una lacrima le rigava l'onda modellata dello zigomo, luccicando sull'ambone del neo a coccinella che le decorava la gota. "Sei tu!" mugolò il Veltro "Al Guado! Avevo intagliato quella pietra.. per ..te..." Veltro provò un'umiliazione avvilente mentre la zingara ultimava l'ingrato compito con asettica automaticità, e deponeva la fiala in un compartimento del nefando vitruviano. Era tutto così assurdo ... Anche Vool'Mag aveva concluso i suoi prelievi, per buona pace di Mantera, e ristava nelle vesti inzaccherate al centro del laboratorio. L’assistente chinò il capo e lo imitò con oppiata inebetudine. Mantera latrò l'ennesima, vacua minaccia.  "Sursum corda, miei catecumeni! Tra poco verrete mondati dalla mortificazione della vita, ed otterrete il privilegio immortale di servire la Regina, sia Taciuto il suo Nome!" Veltro sentì la voragine lasciata dalla speranza affossargli l'animo. Il necromante attivò le energie corruttive del suo collare e un alone di fuoco spettrale azzurrò uno dei sarcofagi di cristallo. Il ronzio onnipresente sembrò alzarsi di un'ottava. La schiena del Veltro si orripilò. Con un fischiante getto nebbioso una cosa uscì dal cubicolo, e quando la cortina si fu dissipata i due prigionieri non trattennero un acuto di insopprimibile terrore. "il Caos"  disse Vool'Mag "il vostro futuro"  

 

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